Era l’aprile del 2005, avevo 31 splendidi anni, incoronati di alcuni fantastici riconoscimenti professionali, sudati sul campo in anni di rapida crescita.
Vivevo a Roma con una mia cara amica in uno splendido appartamento di 140 mq, ero molto soddisfatta ma anche molto frustrata. Avevo tutto ma proprio tutto eppure registravo una grave forma di vuoto. Era un vuoto di relazioni belle, sane, ricche e disinteressate. Ero piena di conoscenze e persino di presunte amicizie eppure vivevo con un profondo, largo e lungo senso di solitudine.
Tutte le relazioni erano solo superficiali, scambi di battute fra maschere, sorrisi stampati sulla faccia come una paralisi perenne, ma il cuore era senza battito. Ero come una persona morta, senza la capacità di amare e di lasciarsi amare. Non sapevo nemmeno cosa fosse l’amore, non ne conoscevo la definizione, né le sfumature né gli aspetti concreti.
Conoscevo solo tanta romantica teoria e dinamiche relazionali più simili a una fiction televisiva che ai reali bisogni di un essere umano. Insomma vivevo in un primordiale, cronico e drammatico stato di solitudine del quale non mi rendevo conto e dal quale non sarei mai riuscita a salvarmi. In questi giorni però, era aprile del 2005, mia madre aveva ripreso a pregare intensamente per me e la sua preghiera ebbe l’effetto di perforare la mia visione della vita e mettermi in contatto con la parte di me che negava il grande bisogno di amore e di relazione che invece avevo.
La preghiera a Dio, che è amore, aveva prodotto in me la consapevolezza del mio bisogno e la necessità di un radicale cambio di vita affinché tutto ciò che allora non era potesse essere. Sono passati quindici anni da quell’aprile e tante cose sono cambiate. Il mio cuore è stato guarito dalla propensione e dell’abitudine alla solitudine profonda e autentica in cui vivono la maggior parte degli individui della società contemporanea.
Come un fiore sono sbocciata nel giardino dell’amore e la solitudine è solo un brutto ricordo. Ciò non vuol dire che io non mi ritrovi spesso sola fisicamente, vuol dire che la mia capacità di dare e ricevere amore è sempre in funzione anche quando sono fisicamente sola e pertanto non percepisco più la momentanea assenza di compagnia come un vuoto incolmabile.
Non mi lamento bensì ringrazio, non accumulo relazioni bensì le scelgo e le coltivo, dono un po’ di tempo a chi me lo chiede, ascolto chi ha bisogno di ritrovarsi, sostengo chi è stanco e do forza a chi è scoraggiato. Mentre mi do, ricevo. E tutto funziona e tutto ha un senso.
Sono il frutto della vita di Dio in me e non ho ricette per chi vive la solitudine, ho solo un nome da fare e un’azione da consigliare. Il nome di Gesù e l’azione della preghiera. Niente può estirpare l’amara erba della solitudine se non la dolce erba dell’amore di Dio.
Provare per credere!