Il peggio è passato e gli ho sorriso.
Vi racconterò in modo sintetico, ma sufficientemente dettagliato, un periodo della mia esistenza trascorso dal 1978 al 2014.
Durante questi anni accaddero importanti episodi che incisero e determinarono L’OGGI della mia vita.
Nella prima parte di vita lavorativa insegnavo, e per scelta svolgevo la mia professione alla scuola materna.
Nel percorso di studi avevo acquisito varie specializzazioni sulle tematiche inerenti alle disabilità, per questo nella mia classe, erano sempre inseriti bimbi caratteriali, con deficit mentali, autismo, patologie più o meno gravi.
Nel 1978, dopo aver partecipato ad un concorso pubblico statale, ed avendolo superato, iniziai ad insegnare a Lodi.
Il mondo della disabilità mi era sempre appartenuto, non solo come scelta di studi, ma soprattutto era inciso nel mio cuore, nella mente, al punto che io fungevo da calamita a qualsiasi situazione di disabilità o disagio; in effetti lo sono ancora oggi!
Da sempre facevo volontariato in comunità per disabili, e anche a supporto di famiglie disagiate.
In quegli anni non c’erano leggi e normative a tutela di fasce socialmente deboli e di soggetti con handicap, tanto meno per le loro famiglie; quindi con la collaborazione di qualche amico, abbiamo pensato di creare una rete a supporto, fondando così un’associazione.
Il passa parola si diffuse velocemente, le richieste d’aiuto superarono ben presto la risposta.
Era necessario individuare un luogo in cui, durante il giorno, i ragazzi, da anni a carico unicamente delle famiglie, potessero ritrovarsi ed essere occupati con attività lavorative e ricreative.
A questo scopo realizzammo una cooperativa di tipo “B” d’inserimento lavorativo, iniziando con 4 ragazzi e 1 operatore; era perciò necessario trovare aziende che offrissero lavoro di semplice assemblaggio, cablaggio, confezionamento.
Inizialmente non esistevano fondi pubblici a disposizione, quindi anticipammo noi il necessario per dare inizio al progetto.
L’avvio di questo cooperativa ha comportato un lavoro burocratico immane, anche se la parte più gravosa fu l’azione di convincimento con le famiglie; infatti, nonostante fossero molto provate dal carico della gestione del figlio, sembrava un dramma affidarlo ad altri, anche solo per poche ore.
Ma piano piano tutto si realizzava, le famiglie si fidavano, i ragazzi erano felici e la cooperativa cresceva.
I ragazzi vennero assunti, le commesse di lavoro aumentavano e di conseguenza gli operatori. Erano gli anni 80.
La creatività a noi organizzatori certo non mancava; infatti iniziavano richieste da parte degli Enti, in quanto nel territorio non erano presenti iniziative inerenti ai servizi alla persona, alla formazione specifica; di conseguenza decidemmo di realizzare una seconda cooperativa di tipo “A” idonea per servizi alla persona.
Realizzammo anche Comunità residenziali e Centri diurni.
Aumentava il personale aumentavano le richieste, dovevamo perciò anche cambiare sede; le difficoltà economiche però erano tante; incessantemente coinvolgevo professionisti, imprenditori amici, affinché potessero aiutarci; organizzavamo mercatini per raccolta fondi, lotterie; io ideavo progetti da presentare ai vari Lions, Rotari fondazioni delle banche al fine di poter ottenere finanziamenti.
Nel frattempo, oltre a tutto questo, continuavo ad insegnare. Mi occupavo dei miei familiari e, naturalmente anche di me stessa.
Intanto le cooperative si sviluppavano sempre di più, aumentavano per me gli impegni ed anche le responsabilità di dirigenza. Ero ormai presidente di entrambi le coop e a questo punto erano trascorsi, circa 15 anni.
Il mio era sempre stato un lavoro di squadra; infatti mi ero circondata di esperti e fidati collaboratori per avere una buona intesa aziendale.
A questo punto, dopo non poche e sofferte riflessioni, decisi di lasciare la scuola (buon stipendio, posto fisso) dedicandomi a tempo pieno alle due cooperative.
Era un buon tempo, le cooperative s’ingrandivano sempre di più.
Aprimmo una filiale sul territorio con un laboratorio molto grande per l’inserimento lavorativo, realizzammo una lavanderia, una falegnameria, un’officina di fabbro, un negozio di oggettistica; realizzammo anche un mio sogno che avevo da tempo nel cassetto: aprire un ristorante con ragazzi disabili che servivano ai tavoli, dopo una specifica formazione; vi garantisco non è stato facile.
Resistenze, sfiducia, non accettazione della disabilità in un contesto dove la così detta normalità è di eccellenza.
Accadde però che il direttore amministrativo, mio stretto collaboratore, si dimettesse; occorreva quindi assumere un’altra figura che ricoprisse quella funzione e fosse all’altezza del ruolo.
Sono state fatte delle selezioni, quindi una nuova assunzione. Per circa un paio d’anni tutto procedeva per il meglio. Eravamo nell’aprile del 2008 ed in quel periodo mi ammalai di broncopolmonite e fui costretta ad assentarmi dal lavoro.
Nel frattempo mia mamma iniziò a non star bene (io sapevo da circa tre anni che aveva un tumore) si aggravò al punto tale da dovermi trasferire a casa sua. Poi la situazione precipitò con conseguenza di un lungo ricovero e di un intervento chirurgico senza speranza di un buon esito.
Io sono figlia unica, non avevo altri familiari; il papà era morto da 10 anni, anche lui con una malattia che l’aveva costretto per cinque anni su una sedia a rotelle.
E’ evidente che vedere la sofferenza della mamma e percepire che la mia vita accanto a lei si accorciava ogni giorno mi provocava una immensa sofferenza.
Sono stati per me mesi pesantissimi, divisa tra la mia malattia, quella della mamma ed il lavoro; lo stress che subivo era enorme, dormivo pochissimo ed iniziai a demandare inevitabilmente alcune mansioni alla vice ed al nuovo direttore.
Dopo molte sofferenze, la mamma viene a mancare e questo fu per me un grande LUTTO.
Ero molto stanca, confusa, addolorata, mi sentivo svuotata come se mi avessero strappato il cuore, una parte di me se n’era andata. Lì ho percepito il significato di essere ORFANA.
In seguito a questo immenso dolore dopo qualche mese, iniziai a perdere i capelli; ero così sconvolta, triste, amareggiata, che non pensai minimamente di fare una cura o di affrontare la situazione. Soffocai e nascosi il problema, mettendomi una parrucca.
In quel momento, priva di forze, fu la soluzione più semplice e veloce.
Ripresi in mano le redini delle due cooperative. Tutto sembrava procedere nella normalità della routine lavorativa, sempre con grande entusiasmo e voglia di progettare; iniziarono però i primi contrasti con i miei più stretti collaboratori.
Via, via però, iniziavo a respirare un’aria poco sana; avvenivano episodi spiacevoli, i contrasti aumentavano, così come le discussioni; il direttore e la vice, alleandosi con alcuni membri del CDA e della coop, crearono intorno a me terra bruciata, ostacolandomi in ogni proposta, ma ancor di più togliendomi, a mia insaputa, alcune mansioni e responsabilità; non avevo più potere decisionale, venivo privata della mia dignità e credibilità come persona nei confronti del contesto.
Premetto, io non amo litigare, ma in quel caso la forte discussione era d’obbligo; resistevo, combattevo, cercavo di capire il perché di tutto questo.
Dopo circa un anno le mie forze iniziavano ad esaurirsi; la situazione mi era ormai molto chiara: stavano esercitando MOBBING.
Sappiamo che chi innesca MOBBING non vuole solo emergere, ma vuole anche distruggere l’avversario con un lavoro minuzioso e sotterraneo.
Quindi, mi documentai, consultando un paio di avvocati, avevo tutti i presupposti per intraprendere un’azione legale; ma cosa avrei fatto? denunciando la cooperativa avrei denunciato le due aziende sociali che io stessa avevo creato!
Ero devastata moralmente e fisicamente, iniziai ad avere intolleranze alimentari, problemi di reflusso gastrico, fortissime emicranie. Quindi, cosciente delle circostanze in cui mi trovavo, con tutta la freddezza di cui ero in grado, convocai i due CDA e presentai le mie dimissioni.
Troncai così ogni rapporto all’istante.
Era l’ottobre del 2009.
Lasciai le due cooperativa con 250 dipendenti, bilanci completamente in attivo, con riserve sufficienti per due anni.
Dopo qualche mese, chiusa nella mia solitudine e nel mio dolore, decisi di farmi aiutare psicologicamente per cercare di ritornare ad una vita normale.
Ricominciai a viaggiare.
Fra tutti questi viaggi, ogni anno facevo volontariato accompagnando, ormai da quindici anni, gli ammalati a Lourdes.
Ed è proprio prima che intraprendessi questo quindicesimo ed ultimo viaggio a Lourdes, che una mia conoscente mi parlò di un corso che si chiama “Dimagrando dimagrire ballando”, cercando di convincermi a frequentarlo. Non ne volli sapere.
Tornai dopo una settimana, stanca stremata dal lavoro, e scoprii che questa mia conoscente mi aveva iscritto al corso di danza.
Il giorno stabilito del corso, era un giovedì, andai per accontentare la mia amica, ma per niente convinta. Come entrai in quella sala ed iniziò la lezione venni letteralmente RAPITA. Era l’ottobre 2014!
Ed eccomi qui, da quel momento la mia vita cambiò totalmente.
Il lutto si trasformò in danza e in una danza divertente e gioiosa, una danza del cuore.
Io sono un frutto di Dimagrando, il frutto di quell’albero (Salmo 1:3) che Elisa Risitano, come sua Mission di vita ha piantato.
Devo, però fare un inciso, e tornare indietro di circa quattro anni. In quello spazio temporale del mio isolamento, dopo la morte della mamma, iniziai a frequentare assiduamente un convento di suore di clausura, instaurando in particolare un dialogo intenso con una suora.
Avvertivo la necessità di conoscere di più; lessi molto, mi appassionai alle vite di donne che avevano donato e dedicato la loro vita a DIO come Teresa D’Avila, Teresa di Liseux, Edith Stein.
Ero alla ricerca di un Dio vero, quasi tangibile; passavo ore nella chiesa del convento, pregando, stando in contemplazione in quel profondo silenzio che mi avvolgeva, mi estraniava.
Desideravo saziarmi di tutto ciò che mi parlava di Dio.
Torniamo a Dimagrando: la lezione era scandita dal ballo, rilassamento e riflessione; proprio quest’ultima parte mi coinvolse intensamente.
Elisa citava versetti del vangelo, nominava spesso Dio come Signore creatore delle nostre vite. La situazione per me diventò molto seria, in quanto si concretizzò ciò che io stavo cercando.
Iniziai cosi a volerne sapere di più, parlai molto con Elisa e con Valeria e, caffè dopo caffè, chiesi se fosse stato possibile andare nella chiesa che loro frequentavano. Quella stessa domenica ricevetti Gesù, ed immediata fu la mia conversione.
La mia pietra miliare: Vangelo Secondo Giovanni capitolo 3.
Gesù, Nicodemo e la nuova nascita.
Quindi rinasco a nuova vita, con non poche lotte interiori.
Avvertii sempre di più un cambiamento, che mi portò anche ad ua modalità di vita differente da quella sino ad ora trascorsa.
Percepii una spiritualità che cresceva, si sviluppava, sentii forte la presenza di DIO. Una presenza che come un balsamo, leniva le mie ferite, colmava i miei vuoti, trasformava i miei lutti in gioia.
Imparai a perdonarmi e a perdonare, mi lasciai alle spalle le tristezze, i dolori della vita e dell’anima, i risentimenti, le ansie, le paure.
Mi sentivo a tre metri da terra.
Cambiò mano a mano la mia mentalità e di conseguenza anche le frequentazioni di quella società a cui sentivo di non appartenere più.
Non avendo più una famiglia, Dio mi donò non solo la grande famiglia della la chiesa, ma mi benedisse regalandomi una famiglia che mi accolse, offrendomi un incondizionato affetto.
Non è stato facile affrontare un radicale cambiamento, ma la parola di Dio e la preghiera sono stati e sono il mio sostegno.
Dio mi ha anche incoraggiato a prendere una decisione importante: TOGLIERMI LA PARRUCCA.
Infatti desideravo sentirmi libera da questo condizionamento.
Oggi ringrazio Dio ogni giorno perché posso affermare di non sentirmi più orfana: oggi mi sento una persona felice!