Lungo il percorso talvolta disconnesso e accidentato della mia vita, ho imparato a stabilire un dialogo con i miei limiti, per accoglierli e allo stesso tempo per utilizzarli come trampolino di lancio verso nuove esperienze, così come ho imparato a fare tesoro dei miei errori, per diventare più saggia e più forte. Da una tessitura di scampoli una nuova armonia.
Per chi, come me, ha speso per tanto tempo i suoi sforzi pur di non sbagliare mai, pur di fare le cose al meglio, pur di esercitare il maggiore controllo possibile, anche allo scopo di farsi volere bene e apprezzare, tutto ciò è una grande conquista.
Mi sono dibattuta a lungo tra aspetti della mia personalità e desideri tra loro contrapposti. Queste polarità non sono scomparse, ma, invece di continuare a scontrarsi, hanno cominciato a incontrarsi e, come avviene nel concepimento, si sono compenetrate per dare luogo a qualcosa di nuovo.
Sin da giovane ho affrontato lo studio con passione, ma a un certo punto studiare è diventato un rifugio, una compensazione, sia per dimostrare a tutti che ero brava, sia per contrastare il rifiuto delle compagne e dei compagni di scuola, che tendevano a mettermi ai margini, a parte quando avevano bisogno di un aiuto per i compiti e le interrogazioni.
Ho scoperto nel frattempo quanto fosse per me meraviglioso danzare; danzando potevo esprimere le emozioni che provavo, sentirmi libera, finalmente me stessa.
Ma mi sembrava che queste due parti di me non avrebbero mai potuto convivere, e ciò era frustrante, perché pensavo che inevitabilmente avrei dovuto rinunciare alla danza, in quanto era vista da tutti come un semplice diversivo. Poi, intorno ai trentacinque anni, i pezzi sparsi di me si sono composti in modo fluido e si sono riappacificati.
Da questo punto di vista, la mia vita non è più un o/o, ma assemblo piacevolmente alle attività più legate alla mia professione principale, con cui aiuto le persone a coltivare la propria creatività e a ricercare il proprio benessere attraverso il corpo e il movimento, quelle di formatrice, docente e teologa.
Provo gioia a preparare e condividere un insegnamento, una breve dissertazione, a seguire percorsi accademici impegnativi.
Ma ne provo altrettanta quando lavoro come danzamovimentoterapeuta; mi emoziona fino alle lacrime poter comunicare, solo attraverso i miei gesti e il tono della mia voce, con le persone che, a causa di gravi disabilità fisiche e cognitive, o altre malattie degenerative, riescono a connettersi unicamente tramite il linguaggio preverbale.
So di avere un modo di parlare o scrivere difficile, anche se a me viene istintivo esprimermi così. Immaginate quindi che esperienza di frontiera siano stati per me gli incontri con queste persone meravigliose, da cui ho imparato quanta profondità di relazione possa essere trasmessa da uno sguardo, un tocco, un vocalizzo.
Cercavo la solitudine, spesso anche come via di fuga, come antidoto a un senso di inadeguatezza che mi perseguitava.
Ritrovare la piacevolezza dello stare insieme agli altri è stato faticoso, ho dovuto ingoiare molti bocconi amari; non volevo che fossero gli altri a impormi di “farmi degli amici”, ma volevo desiderarlo io e anche quando l’ho desiderato mi sono spesso trovata in balia dei meccanismi di esclusione con cui avevo convissuto per anni.
Ora non potrei fare ameno dei rapporti interpersonali, il continuo confronto e scambio con coloro con cui mi relaziono mi porta in dono la bellezza della loro unicità e diversità. Trovo appagante bilanciare i momenti di socialità con quelli di ritiro interiore.
Sono stata attratta da esperienze religiose che valorizzavano la vita consacrata, e animata da una certa diffidenza verso le relazioni con il maschile, dovuta a disagi e ferite nel rapporto con mio padre e nel periodo adolescenziale.
Dopo che mia madre era guarita da una malattia che l’aveva portata a un passo dalla morte, avevo pensato di rinunciare ad avere una famiglia.
Mi sono sentita sciolta da quella specie di voto solo quando ho capito che dietro la mia scelta si potevano nascondere paure mai espresse, che andavano affrontate, e ho compreso che cambiare idea sulla mia vocazione non sarebbe stato un tradimento nei confronti di Dio, perché ogni sua chiamata ha lo stesso valore, l’importante è essere al centro della sua volontà.
Negli anni della maturità mi sono pienamente riconciliata con il passato anche nei confronti di questo aspetto. La consapevolezza che qualcosa fosse cambiato in me è arrivata inaspettatamente, con una sensazione simile a quella che si prova a respirare l’aria ad alta quota, soprattutto dopo una camminata impegnativa.
Anche se non ho incontrato l’uomo della mia vita enon mi sono mai sposata, da quel momento, tale “disponibilità all’incontro” mi ha reso più sicura.
Certo, ho anche sperimentato il vuoto dell’assenza, la malinconia per la mancanza di quel completamento che deriva da un rapporto di coppia stabile, senza cadere però in depressione o disperazione. Al contrario, ho raggiunto la serenità che deriva da una presa di coscienza profonda di chi sono veramente e da una fiducia salda verso ciò che il Signore ha in serbo per la mia vita.
Nei confronti di mio padre ho nutrito a lungo la convinzione che non mi capisse e non mi apprezzasse, anche se ora so che non era vero.
Le sue parole, che mettevano in luce le mie fragilità e la mia scarsa autostima, perché mi diceva che non ce l’avrei fatta nella vita, mi hanno segnata. Talvolta non mi sono sentita sufficientemente protetta da lui, come secondo me avrebbe dovuto fare un buon padre, e questo mi ha portato a rinchiudermi in me stessa.
Ho potuto vivere un’importante esperienza di perdono, grazie alla quale ho compreso qualcosa di più dell’essenza stessa del Cristianesimo, ovvero quanto sia arduo mettere in pratica il Vangelo, la buona notizia, ma altresì come questa per me sia l’unica via di vera libertà e amore.
Poco prima che mio padre morisse, ho ricevuto dal Signore uno dei regali più preziosi in assoluto: sono riuscita a riconciliarmi con lui, a guardarlo con occhi nuovi, e ho provato una gioia immensa quando lui ha riconosciuto in me un cambiamento, la presenza di una autorevolezza e di una determinazione nuove.
Era quello che stavo sperimentando, ne ero convinta dentro di me, ma il fatto che lui se ne fosse accorto e lo avesse verbalizzato ebbe il valore di una investitura, mi disse che era certo che fossi diventata più forte, che ce l’avrei fatta a non farmi inghiottire dagli eventi e, con parole rassicuranti e incoraggianti, ricevetti la sua benedizione paterna.
Ovviamente la scelta di perdonare, come quella di amare, non è semplice né scontata, va coltivata per non farla isterilire, va continuamente riconfermata, ravvivata e rinnovata, soprattutto quando le circostanze della vita producono crucci e emozioni negative che potrebbero incancrenirsi nel risentimento.
Tuttavia, il fatto di saper riconoscere con tempestività queste radici amare e di potersi ricollegare ad un precedente evento di perdono risolutore aiuta a perseverare lungo il percorso.
Ecco, queste sono le parole che, tra le tante che avrei potuto scrivere per raccontare qualcosa di me,hanno scelto di scivolare tra le mie dita e sulla tastiera; mi sono lasciata guidare da ciò che scaturiva dall’immediatezza; nel rileggerle, mi batte il cuore, perché le sento vere e sincere.