É il dolore che muove la mia penna per te. Sì, questa lettera va proprio a te, che hai appena ingerito la pillola di una notizia disarmante e te ne stai rannicchiata in una bolla di incertezze mute, mentre intorno a te piovono consigli.
Mia cara, aspetta! Aspetta ancora un giorno, prima di farlo. Prima di precipitare con tutto il tuo corpo in un gesto ripido come una fossa, senza via di ritorno, spinta da ombre che scompariranno quando rimarrai sola con la morte.
Ognuno ha una motivazione valida, o la sua critica pronta: ma ogni soluzione ti viene offerta con guanti di ipocrisia. Solo tu sei davvero lì, sola davanti ad un bivio che influenzerà il resto della tua esistenza. Prima di scegliere, ti prego, aspetta, e leggi fino in fondo.
Comprendo il tuo disappunto, quando in un soffio, una verità ingombrante si è accesa dentro di te. Sì, ingombrante! Non mi aspetto che altri, al di fuori di noi due, capiscano perché ho usato la parola ingombrante. Ma tu lo sai, perché ti fa sentire sopraffatta e impotente. Eppure, quella piccola grande verità, mia cara, nel suo rapido moltiplicarsi di cellule, ha dato vita ad una certezza che sarà inestinguibile. Intendo dire che sarà difficile far evaporare per sempre l’eco della parola mamma che ti ha abitata (anche solo per un giorno).
Aspetta, ti prego, prima di farlo per davvero.
Un giorno. Un giorno che è passato fin troppo velocemente per me, affogando nella morte la mia bambina.
Era ormai da cinque mesi che accarezzavo la sua culla attraverso i tessuti della mia pelle; da diciotto settimane ormai parlavo al suo cuore direttamente con il flusso dei miei pensieri e, da molto più tempo, contavo i giorni che rimanevano al parto per poterla baciare.
Una notizia breve e dolorosa, come la puntura di un ago, e la mia piccola è scivolata via da me.
L’ho vista sai? Nei guanti di lattice di chi mi assisteva e, se mi avessero strappato il cordone ombelicale con la forza, il dolore sarebbe stato più lieve.
Cinque mesi di noi, evaporati nel buio dei miei occhi chiusi per piangere, mentre il suo corpo che solo io potevo amare, veniva portato via come un qualsiasi oggetto ospedaliero di cui disfarsi.
Ti prego, mamma che vuoi abortire, aspetta ancora un giorno, perché io avrei bucato il tempo e lo spazio per tornare in quell’attimo fatale e cambiarne il finale.
Avrei voluto entrare dentro me stessa per guardare cosa non era andato. Avrei voluto chiedere direttamente a lei quando precisamente aveva smesso di respirare, o se avesse sofferto mentre la placenta si trasformava nella sua più grande nemica. Le avrei domandato come mai non mi avesse lanciato un segnale più chiaro, perché sarei corsa dal mio medico per salvarla. Le avrei chiesto se almeno in quei pochi mesi aveva percepito il mio amore, o se mai si fosse sentita trascurata. Le avrei chiesto se qualcosa di me, o qualcosa ingerito da me fosse stato il suo boia.
Ma sai, mia cara mamma, io non avrò mai quelle risposte, ma solo un addio che non sarà mai più risanato da lei. Lei… combinazione genetica insostituibile!
Ma tu, amica mia, donati quel tempo che con me non ha avuto pietà.
Ho pensato alla tua fretta di concludere, proprio mentre io me ne stavo sdraiata in quello spazio bianco come l’apatia, tormentata dal gocciolare spietato delle ore.
Comprendi ora? Non c’è nessuna forma di giudizio in ciò che ti scrivo, ma la grande speranza che questa lettera voli sulla rete per arrivare fino a te.
Ti consiglio allora di aspettare (l’avrai capito ormai), ancora un giorno. Ancora qualche ora, prima che il tuo corpo diventi la lapide di tuo figlio, prima che il rimorso diventi il tuo aguzzino per sempre.
Aspetta un giorno ancora, prima che i tuoi ricordi vengano abitati dal pianto di un bambino che non hai mai consolato.
Aspetta un giorno almeno, per goderti quello scambio d’ossigeno che fa di voi un solo respiro.
Aspetta, ferma, ascolta: mai il battito del tuo cuore è stato così legato alla morte di qualcuno: fai trionfare, ti prego, la vita.
Chi è la vita se non tu? Chi è l’amore se non tu, con tutta quella esplosione di natura che lentamente inizia a sprizzare nel tuo corpo?
Oh sì, tesoro, sei tu l’amore. Non credere di dover mai chiedere a qualcuno come si dovrà essere madre, perché basterà il tuo sì, e sarà quella danza inedita che accetterai di vivere a farti da maestra. Ti prego, aspetta! Regalati un altro giorno, prima di interrompere quel movimento che pieno di entusiasmo sta prendendo ossigeno da te. Entusiasmo di vivere, di crescere, di respirare, di conoscere la bellezza di questa breve esistenza che ci è stata regalata: un dono per ogni abitante di questo pianeta. Nessuno escluso.
Fai vivere per voi, un altro giorno.